Ordinanza n. 3 del 2005

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ORDINANZA N. 3

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Valerio      ONIDA                                                     Presidente  

-  Carlo         MEZZANOTTE                                            Giudice  

-  Guido NEPPI MODONA                                                   ”

-  Piero Alberto CAPOTOSTI                                                 ”

-  Annibale    MARINI                                                            ”

-  Franco  BILE                                                                       ”

-  Giovanni Maria   FLICK                                                      ”

-  Francesco  AMIRANTE                                                      ”

-  Romano     VACCARELLA                                                ”

-  Paolo         MADDALENA                                                 ”

-  Alfio          FINOCCHIARO                                               ”

-  Alfonso     QUARANTA                                                     ”

-  Franco       GALLO                                                              ”

ha pronunciato la seguente                                                

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), promosso con ordinanza del 16 ottobre 2002 dal Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, nel procedimento penale a carico di Druta Ioana, iscritta al n. 569 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, con ordinanza del 16 ottobre 2002, ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, «nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione sino alla data di proponibilità della domanda di regolarizzazione da parte di cittadini extracomunitari e non soltanto in pendenza del procedimento di regolarizzazione»;

che il Tribunale rimettente premette di essere chiamato a giudicare – con rito direttissimo – della responsabilità penale di una cittadina extracomunitaria, imputata del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per non avere «ottemperato all’ordine impartitole dal Questore di Latina il 30 settembre 2002 di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni dalla notifica, eseguita in pari data», del provvedimento in questione;

che il giudice a quo evidenzia, innanzitutto, come con il citato decreto-legge n. 195 del 2002 siano state dettate disposizioni dirette «a legalizzare i lavoratori extracomunitari in posizione irregolare», e ciò «alle medesime condizioni» già stabilite, «per i lavoratori extracomunitari addetti a lavoro domestico o di assistenza», dall’art. 33 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);

che – prosegue il giudice a quo – risulta «in particolare (…) prevista la possibilità di presentare una dichiarazione di emersione del lavoro irregolare con lavoratori extracomunitari occupati in attività di impresa» (e ciò «entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto»), essendosi, inoltre, «disciplinata la procedura e previste le condizioni per accedere alla stipula di un contratto di soggiorno per lavoro subordinato con contestuale rilascio del permesso di soggiorno»;

che – come evidenzia del pari il giudice a quo –  la disposizione di cui all’art. 2 del d.l. n. 195 del 2002 stabilisce (ai commi 1 e 2, applicabili «ex comma 4» anche alle dichiarazioni di emersione del lavoro irregolare concernenti “colf” e “badanti”) che «fino alla data di conclusione della procedura di cui all’art. 1, non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti dei lavoratori compresi nella dichiarazione di cui allo stesso articolo» (cioè a dire coloro per i quali sia stata avviata la procedura di regolarizzazione, salvo che gli stessi non risultino pericolosi per la sicurezza dello Stato), prevedendo altresì che «il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 1, comma 5, comporta la contestuale revoca degli eventuali provvedimenti di espulsione già adottati»;

che da quanto esposto si ricava – secondo il Tribunale di Latina – che tanto il lavoratore extracomunitario, per il quale sia già stata avviata la procedura di “emersione dal nero”, quanto quello che, a conclusione del medesimo iter procedurale, abbia conseguito il rilascio del permesso di soggiorno, «non possono subire l’allontanamento dal territorio dello Stato»;

che, per contro, risulterebbe «ingiustificatamente diversificata (…) la posizione del lavoratore extracomunitario, che, nelle more dell’avvio della procedura da parte del proprio datore di lavoro» (il quale, legittimamente, potrebbe attendere fino all’approssimarsi della scadenza del termine di legge per presentare la dichiarazione di “regolarizzazione”), «venga colpito da un provvedimento di allontanamento»;

che, difatti, tale provvedimento «può essere emesso» dalla competente autorità «senza attendere lo spirare dei termini accordati», dallo stesso d.l. n. 195 del 2002, «per esercitare la facoltà di denunciare il lavoro irregolare», restando inoltre inteso che, quand’anche dovesse sopravvenire la (originariamente mancante) dichiarazione di “emersione dal nero”, «il pur tempestivo avvio della procedura non avrà alcun effetto sul già disposto allontanamento dello straniero extracomunitario» colpito dall’espulsione;

che in forza di tali argomenti il rimettente ritiene, pertanto, di dover censurare la norma suddetta – «nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione sino alla data di proponibilità della domanda di regolarizzazione da parte di cittadini extracomunitari e non soltanto in pendenza del procedimento di regolarizzazione» – per violazione degli artt. 2, 3 e 35 della Costituzione;

che, infatti, «oltre alle esposte ragioni di paventata violazione del parametro costituzionale di eguaglianza», la norma impugnata – sempre secondo il giudice a quo –  appare anche «in contrasto con i diritti inviolabili della persona nonché con i principî fissati dall’art. 35 Cost.»;

che, infine, in ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale di Latina evidenzia di dover «decidere se l’imputata sia effettivamente colpevole del reato ascrittole per essersi trattenuta nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine del questore di allontanarsene», donde la «decisiva importanza» della verifica «della legittimità del provvedimento amministrativo di espulsione adottato nei confronti della medesima», provvedimento adottato quantunque «non fossero spirati i termini previsti dalla legge (…) per la presentazione della denuncia di emersione e l’avvio della procedura di regolarizzazione della sua posizione»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata «sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata»;

che con riferimento, infatti, alla dedotta eccezione di inammissibilità della questione, la difesa erariale sottolinea come il remittente non abbia «chiarito se l’imputata si trovasse, alla data dell’ordine impartitole dal Questore di Latina, nelle condizioni lavorative indicate dall’art. 1, comma 1, del decreto legge» n. 195 del 2002, omettendo di fornire una adeguata motivazione anche in ordine alla «mancata ricorrenza delle condizioni, ostative alla regolarizzazione, previste dal comma 8 del medesimo articolo 1»;

che l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, poi, come il comma da ultimo citato risulti essere stato modificato dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, recante disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), prospettando pertanto – in via subordinata, rispetto alla richiesta declaratoria d’inammissibilità della questione – l’eventualità di una «restituzione degli atti al giudice a quo»;

che reputa, infine, la difesa erariale – quanto al merito della questione – di dover confutare il solo dubbio di costituzionalità sollevato in riferimento all’art. 3 della Carta fondamentale, apparendo, invece, il contrasto con gli artt. 2 e 35 della Costituzione «enunciato ma non argomentato», donde l’esistenza rispetto a tali parametri di «un distinto profilo d’inammissibilità»;

che, comunque, viene esclusa dall’Avvocatura dello Stato l’ipotizzata violazione del principio di eguaglianza (e quindi il paventato contrasto con l’art. 3 Cost.), giacché nel caso di specie «appare insussistente l’identità oggettiva e soggettiva delle due ipotesi poste a raffronto», atteso che nell’ipotesi contemplata dalla norma impugnata viene in rilievo la «denuncia di sussistenza di rapporto di lavoro», mentre in quella sottoposta al giudizio del rimettente si è in presenza di una «cittadina extracomunitaria priva apparentemente di lavoro»;

che, d’altra parte, la disposizione censurata – conclude la difesa erariale – neppure «si presta a rilievi d’irrazionalità, attesa anche la considerazione che la tesi prospettata dal rimettente si risolverebbe in una (pur temporanea) sanatoria a favore di tutti i cittadini extracomunitari presenti sul territorio dello Stato».     

Considerato che il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, ipotizzando che l’art. 2 del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, violi gli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione, ha, in sostanza, richiesto a questa Corte la pronuncia di una sentenza “additiva” la quale equipari – quanto all’impossibilità della espulsione contemplata dalla norma impugnata – a quei lavoratori extracomunitari già destinatari della dichiarazione di “legalizzazione”, presentata dai rispettivi datori di lavoro ai sensi del d.l. n. 195 del 2002, quanti potrebbero essere ancora interessati da siffatta dichiarazione, non essendo decorso il termine, sempre previsto dal decreto-legge suddetto, per la “emersione” del lavoro irregolare;

che, tuttavia, nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo non dà espressamente atto neppure della qualità di lavoratrice subordinata rivestita dalla straniera, imputata del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 e sottoposta a rito direttissimo;

che, pertanto, la circostanza secondo cui l’interessata potrebbe fruire della “dichiarazione di emersione dal nero” presentata dal proprio datore di lavoro (il quale – ad ulteriore riprova del difetto di motivazione che inficia l’ordinanza de qua – non risulta neppure compiutamente identificato) è data, dunque, per scontata dal rimettente, piuttosto che essere illustrata in modo circostanziato, come sarebbe stato invece necessario;

che, significativamente, si tace persino sulla data d’inizio dell’attività espletata dall’imputata (assolutamente indispensabile, viceversa, al fine di stabilire se la stessa fosse occupata «nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore» del d.l. n. 195 del 2002, e dunque in condizioni di fruire – ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, del medesimo decreto-legge – della cosiddetta “legalizzazione”), non precisandosi neanche se si tratti di una “comune” prestazione di lavoro subordinato, ovvero di una prestazione di assistenza domestica o familiare, come parrebbe desumersi da un – peraltro ambiguo –  riferimento all’art. 33 della già citata legge  30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);

che, alla luce delle superiori considerazioni, si profila quindi la necessità di applicare al caso di specie il principio secondo cui «le ordinanze contenenti una insufficiente descrizione della fattispecie concreta, tale da non consentire un’adeguata valutazione della rilevanza, (…) sono manifestamente inammissibili» (così, da ultimo, ordinanza n. 189 del 2004; nello stesso senso – ex multis – ordinanze n. 188 del 2004, n. 141 del 2003, n. 119 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 35 della Costituzione, dal Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.   

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11  gennaio 2005.